PIGRO, SVOGLIATO O IN DIFFICOLTÀ?
Quanti di voi si sono sentiti dire o hanno pensato che il loro figlio fosse svogliato, pigro o poco interessato alla scuola? Spesso questi comportamenti possono celare difficoltà di natura scolastica o emotiva che il bambino non riesce ad esprimere.
In primo luogo, per evitare che ciò accada è fondamentale l’individuazione precoce della presenza di eventuali difficoltà di apprendimento, che talvolta si riflettono sulla sfera del comportamento: il bambino può mostrarsi oppositivo o aggressivo, può trovare scuse per ritardare il momento dei compiti e assumere atteggiamenti di sfida nei confronti degli adulti, in particolare genitori e insegnanti.
Il bambino che inizialmente incontra delle difficoltà sul versante cognitivo e strategico può, se non opportunamente seguito e sostenuto, sviluppare nel tempo diverse forme di demotivazione o disinteresse verso le attività di apprendimento, che a loro volta diventano causa di ulteriori difficoltà.
Infatti, i bambini con difficoltà scolastiche tendono, rispetto ai loro compagni, ad avere un concetto di sé più negativo (Tabassam e Grainger, 2002), a provare più ansia e ad avere meno autostima (Hall, Spruill e Webster, 2002). Questo li può portare spesso ad abbandonare il compito alle prime difficoltà (Bouffard e Couture, 2003), sviluppando quella che viene definita impotenza appresa: un atteggiamento rinunciatario, poco propenso a modificare il corso degli eventi e caratterizzato dalla marcata tendenza ad attribuire a cause interne, stabili e non controllabili (es. “io non sono capace!”) i propri fallimenti (Weiner, 1985). Questa convinzione porta a dubitare dell’efficacia del proprio impegno e quindi a rinunciare di fronte alle prime difficoltà o ad evitare le situazioni di apprendimento.
Bandura, psicologo noto per i suoi studi sull'apprendimento, puntualizza l’importanza di aiutare il bambino ad attribuire il proprio successo o fallimento a cause reali (es. impegno o difficoltà del compito), piuttosto che ad eventi esterni (es. fortuna o caso).
Unito a questo vi é un'altra variabile cognitiva: la percezione di autoefficacia (Bandura, 1997) rispetto alle proprie abilità nell’affrontare i compiti proposti. L’autoconsapevolezza del proprio livello di efficacia ha effetti sostanziali sulla capacità di apprendere e sulla costruzione di un buon livello di autostima e di identità psicologica. Tale variabile dipende da molteplici fattori personali, ma risente fortemente anche dell’atteggiamento ottimistico dei genitori e degli insegnanti che possono trasmettere fiducia all’allievo e aiutarlo a rimodellare le proprie percezioni individuali.
Per questa ragione, i feedback devono essere centrati sulle prestazioni dell’alunno per stimolare il bambino ad indagare aspetti legati a come vengono svolti i compiti e quali capacità vengono utilizzate. Le informazioni fornite, soprattutto in caso di errore, non dovrebbero svilire il valore della persona (es. “sei un incapace”), ma limitarsi a stimolare un’autoanalisi su come è stato affrontato e svolto il compito. Tutto ciò è utile per stimolare e mantenere un buon livello di autostima e di motivazione e riuscire ad accettare gli insuccessi.
Rimane dunque fondamentale per il benessere e il successo scolastico del bambino un adeguato supporto non solo scolastico ma anche emotivo e, nel caso di difficoltà dell’apprendimento, il raggiungimento di una diagnosi tempestiva.